Acropoli di Civitavecchia di Arpino

Storia e leggenda s’intrecciano nelle vicende di Arpino, ma ancor più in quelle della Civitas Vetus, l’Acropoli. Piccolo centro di umanità secolare, raccolta entro una barriera di mura megalitiche essa irradia ancora, per il turista che la raggiunge, suggestioni e testimonianze di una vita arcaica. Civitavecchia fu, probabilmente, il nucleo originario del primitivo insediamento volsco (popolo del VII-VI sec. a.C.), fondato per necessità di difesa su un luogo alto e dirupato e poi circondato da possenti mura. Infatti altri popoli italici, quali i Marsi e i Sanniti ne premevano e minacciavano la sicurezza e i beni. La grandiosità di queste mura, che si trovano pure in altri paesi dei Volsci (Atina, Aquinum, Sora, Signia, Arcis) e degli Ernici (Aletrium), ha suggerito alla fantasia popolare il nome di mura pelasgiche (in ricordo dei preellenici, mitici Pelasgi) o ciclopiche (i giganti omerici). E’, però, più giusto chiamare questo tipo di mura “poligonali” proprio per la forma che presentano gli enormi massi, sovrapposti l’uno sull’altro senza alcun legame di malta.

Le mura poligonali di Arpino si dipartono da Civitavecchia all’altezza di 627 metri e scendono giù per il declivio fino ad abbracciare e chiudere la città nell’altra minore altura (Civita Falconara). Esse non hanno fondazioni e sono costituite da enormi monoliti di puddinga del pleistocenico, materiale i cui banchi disseminati nell’ intero versante nord della propaggine montana e quindi anche in vicinanza del sito arcaico. La muraglia, in origine, si estendeva per 3 km, ma oggi ne rimangono circa 1,5 km ed in alcuni punti si presenta inglobata nelle case. Restaurata nell’ età sannitica, poi romana e medioevale con l’ aggiunta di torri e di porte, dimostra una serie ininterrotta di vicende storiche. La datazione delle mura di Civitavecchia trova discordi gli studiosi: lo Schmidt le fa risalire al VII-VI sec. a.C., il Sommella le dice di epoca romana. Tito Livio (IV, 57,7) ci dà notizie di rocche ciclopiche volsche esistenti già nel 408 a.C.. Della tesi dello Schmidt si fa assertore anche il Morricone (“Arpino Arcaica“) rilevando la possibilità delle influenze greche sui nostri antichi territori, dovute agli scambi commerciali e culturali attraverso le valli fluviali del Volturno e del Liri (corsi d’acqua questi, in antico, quasi certamente in parte navigabili) che dalla Campania portavano al massiccio della Meta, ricco di minerali.

Certamente l’Arco a Sesto Acuto, porta arcaica d’ingresso all’Acropoli, rievoca in maniera determinante il sistema costruttivo delle gallerie di Tirinto e Micene. Questo prodigioso monumento è alto 4,20 metri ed è formato da blocchi sovrapposti che si restringono verso la cima, tagliati obliquamente sul lato interno. In epoca medievale fu chiuso in un bastione semicircolare, ora per metà demolito. In alcune fotografie, precedenti al restauro del 1960, si presenta con un pilastro centrale che serviva da sostegno.

Un’altra porta d’accesso al complesso fortificato è situata alle pendici del colle, a ridosso del quartiere Arco. Si ipotizza fosse usata come accesso inferiore all’acropoli. A differenza dell’arco a sesto acuto questa porta, battezzata come “Porta Tana del Lupo“, ha forma architravata e massi poligonali ben definiti con facciavista regolare. Interessante è la cava situata accanto al muro perimetrale utilizzata per l’estrazione del materiale per realizzare i ciclopici massi. Non abbiamo testimonianze architettoniche o storiche del periodo romano in Civita Vecchia, ma un’antica credenza vuole collegarla al grande Arpinate. Forse la tradizione tramandataci da Plutarco e Silio Italico che Cicerone discendesse dal re volsco Tullio Attio, fece ritenere che proprio lì, nel primitivo insediamento, fosse l’origine dei Tulli. Civitas Ciceroniana venne indicata, infatti, nel catasto di Arpino del 1581; “Torre di Cicerone” viene chiamata la torre medioevale del luogo; ma soprattutto si volle credere che in Civita Vecchia fosse la casa degli avi di Cicerone, ereditata poi dal fratello Quinto. Credenza che portò la studiosa Marianna Dionigi all’inizio del 1800 fin sull’antica rocca. Il suo sogno romantico, però, rimase deluso perché non trovò traccia della casa di Cicerone, se non costruzioni recenti, un muro che la tradizione orale chiamava Cicero e un sentiero lastricato detto Via Cicera.

Reali sono invece le testimonianze del Medioevo. Entrando dalla Porta, costruita dopo l’inglobamento di quella arcaica in un torrione circolare che ne aveva impedito l’accesso al borgo, troviamo, a sinistra, un’alta torre quadrangolare eretta a difesa di un recinto che costituiva il castrum, racchiuso da mura medioevali, oggi ruderi. In esso una cisterna assicurava il rifornimento idrico.

Divenuta Arpino baluardo della Chiesa verso il Sud dell’ Italia, dopo il 1215, le mura che scendevano da Civita Vecchia verso Arpino vennero rafforzate e completate con torri quadrate e rotonde, con bastioni forniti di casematte collegati da cammini di ronda. Una comoda passeggiata panoramica, che si diparte dal centro del borgo, ci fa ammirare da vicino queste storiche costruzioni.

A fianco dell’Arco a Sesto Acuto incontriamo un gioiello settecentesco: la Chiesa della SS. Trinità o del Simulacro del Crocifisso. Ancora oggi di proprietà della famiglia Pesce, essa fu fatta costruire nel 1720 dal Cardinale Giuseppe Pesce, maestro e rettore della Cappella Pontificia. E’ di stile romanico con pianta a croce greca. La cupola è sollevata su quattro pilastri centrali. Il paliotto dell’altare, dipinto con i fiori, fa da sfondo alla piccola chiesa. A fianco, due grandi affreschi: a destra l’Immacolata, a sinistra San Giuseppe. Per il cardinale Pesce operò in Arpino, dove morì nel 1779, lo scultore in legno il tirolese Michele Stolz che fu per molto tempo suo ospite nella casa di Civitavecchia. Scolpì la statua di San Vito, il simulacro della Crocefissione, la statuetta della Concezione oltre numerose altre opere per le chiese di Arpino. Il linguaggio stilistico dello Stolz fu decisamente rococò d’impronta napoletana.
 
Proseguendo per la stradina che taglia in due il borgo, lastricato dai piccoli tipici ciottoli, incontriamo al numero civico 6 un antico Palazzo che presenta una curiosità: ai lati del portone d’ingresso due scivoli permettavano ai “bravi” del padrone di casa di tenere sotto bersaglio gli ospiti indesiderati o malintenzionati.
 

Si arriva, poi, alla Chiesa di San Vito del XVI secolo, a tre navate. Sull’altare maggiore si possono ammirare una tela del Cavalier d’Arpino raffigurante San Vito, Santa Crescenza e San  Modesto e la già citata statua di San Vito dello Stolz.

Usciti dalla chiesa, prendendo a sinistra la stradina di fronte, concludiamo questo breve viaggio attraverso i luoghi, il tempo, i monumenti di Civitavecchia nella piccola rotonda-belvedere che si affaccia sulla valle sottostante. Di qui l’ampiezza dell’orizzonte, le pendici della rocca rivestita di querce ed olivi, il silenzio che regna tutto intorno sovrano sono di grande suggestione.

Il borgo di Civitavecchia di Arpino è stato anche il set del film “Splendor” con Marcello Mastroianni e Massimo Troisi, per la regia di Ettore Scola (1988/89) e nel 2019 del film “Il Primo Natale” di Ficarra e Picone.

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