Aonio Paleario

Aonio Paleario

Chi era: umanista e riformista
Nato a: Veroli nel 1503 ca

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Veroli: Ritratto di Aonio Paleario nella Sala Consiliare del Comune di Veroli. Lo stesso medaglione si trova anche a Campo dé Fiori, a Roma, nella base della statua raffigurante Giordano Bruno, opera di Ettore Ferrari; Epitaffio di Aonio Paleario nella Sala Consiliare del Comune
 

nome umanistico di Antonio della Paglia (o Pagliara), nato dall’agiato artigiano salernitano Matteo della Pagliara e da Clara Jannarilli. Trascorse la gioventù a Veroli, dove compì studi classici con il notaio Giovanni Martelli, iscrivendosi successivamente grazie alla protezione del Vescovo di Veroli, Ennio Filonardi, ai corsi di Filosofia e di lettere antiche all’Università La Sapienza di Roma, ma non potè completare gli studi perché nel 1529 abbandonò la città pontificia, devastata dal sacco del 1527 dei Lanzichenecchi.

Si recò a Perugia, a Siena e infine a Padova dove completò gli studi, laureandosi ed entrando nell’ambiente letterario che gravitava attorno al Cardinale Pietro Bembo conobbe molti personaggi illustri, dei riformisti come Lutero, Erasmo, Calvino, Melantone. Qui Paleario completò la stesura del suo primo lavoro il poema filosofico, di ispirazione neo platonica, De animorum immortalitate, dedicato all’Imperatore Ferdinando d’Asburgo. Nel 1537 si stabilì a Colle Val d’Elsa (provincia di Siena) si sposò con Marietta Guidotti, da cui ebbe cinque figli e divenne insegnante. Con i suoi allievi, discuteva di argomenti dottrinali, pur vedendo la corruzione della gerarchia ecclesiastica, sperava nella riforma della Chiesa, nel dialogo e nella discussione, ma il Concilio tanto atteso si svolse senza la partecipazione dei protestanti e svanì la possibilità di una riconciliazione.

Nel 1543, Paleario scrisse l’orazione Pro se ipso (pubblicata solo nel 1552), un’appassionante difesa della libertà di coscienza, di cultura e della possibilità di poter attingere direttamente alle Sacre Scritture. Nel 1546 Paleario decise di trasferirsi a Lucca, (ambiente decisamente più favorevole ai riformatori), qui, sotto la protezione della potente famiglia Buonvisi, gli fu affidato un incarico ufficiale di professore di letteratura alla Scuola superiore di Lucca. A Lucca, ebbe modo di scrivere varie orazioni e un trattato in italiano, in due parti: Del governo della città (andata perduta) e Dell’economia o vero del governo della casa. Fu a Milano nel 1556 per coprire la cattedra di studi umanitari; nella città lombarda finì la sua opera principale, intrisa di polemica antipapale e anticlericale, l’Actio in Pontifices Romanos et eorum asseclas: nella sua accusa al Papato, mette in luce gli errori della chiesa cattolica, auspicando un ritorno al Vangelo. L’opera venne pubblicata, postuma, nel 1600 ad Heidelberg, in Germania. Nel 1567 venne accusato nuovamente dall’Inquisizione. Rinchiuso per ben due anni nel carcere di Tor di Nona, rifiutandosi di indossare l’abito giallo degli eretici, fu processato a Roma con la condanna di eretico impenitente e fu giustiziato il 3 luglio 1570: fu impiccato e arso sul rogo nella piazzetta a Ponte Sant’Angelo.

 

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