Cervaro: Monte Trocchio, castello e ruderi

Il Castello di Trocchio rappresenta, nella zona di Cervaro a valle della Casilina, la testimonianza storica più tangibile del territorio. Esso crea, con il luogo in cui sorge, un rapporto talmente radicato da far pensare quasi inevitabile la sua presenza, come fosse parte integrante del paesaggio. Situato ad oltre 400 metri di altezza, alla sommità di una vertiginosa gobba rocciosa del monte omonimo, palesa al primo sguardo la sua eccezionale posizione strategica, che ne fa il dominatore della fertile vallata sotto stante e dell’importante passo di Pastenelle, tanto da costituire un vero e proprio antemurale dell’ abbazia di Montecassino verso il sud. La prima testimonianza storica del Castello di Trocchio si rinviene in un documento di conferma dei beni per il Monastero di Montecassino, sottoscritto dal papa Vittore Il (1055 – 1057). In questo documento Trocchio viene menzionato con il nome di “Turruculum” ma successivamente, almeno dall’XI al XIII secolo, il toponimo ricorre, con diverse variazioni, in vari diplomi e privilegi concessi da imperatori e papi. Comunque, la radice del nome antico contiene un evidente riferimento alla costruzione originaria del Castello di Trocchio, che molto probabilmente consisteva in una torre a pianta quadrata, inclusa in una piccola cinta muraria, secondo un modello ricorrente nella tipologia del primitivo castello medievale. Per la storia, le vicende del castello – che costituiva uno dei punti nevralgici della terra di San Benedetto – sono intimamente legate all’abbazia. Nell’agitato periodo dell’età medievale si rinvengono numerose testimonianze dell’esistenza di popolazioni in tutta la località chiamata Trocchio, che, dal 1601, decimate dalla peste, decisero di abbandonare l’antico castello e di unirsi alla contigua Cervaro. Da quell’anno l’università di Cervaro prese il nome di Cervaro – Trocchio: infatti lo stemma presenta le iniziali “C” e “T”, che secondo la tradizione storica indicherebbero appunto “Cerbarium” e “Turruculum”. Oggi il Castello si presenta per larga parte diruto, pur conservando resti imponenti, che permettono di ipotizzare facilmente l’impianto generale originario.

Notiamo, infatti, la posizione baricentrica della robusta torre quadrata (il mastio), sopravvissuta al tempo per tutto il piano/cisterna, atto a raccogliere l’acqua piovana, e che costituiva il fulcro del sistema difensivo del castrum, che si svolge in forma vagamente circolare, sfruttando al massimo le asperità naturali del luogo. Nel giro delle mura, ancora in buono stato di conservazione, si apre un’unica porta, di tipo sceo, da cui si accede da una rampa in salita, addossata al lato destro della struttura muraria, dotata di feritoie per permettere ai soldati di colpire il fianco destro degli invasori non protetto dallo scudo.

Entrando tra le mura, ci immettiamo in una sorta di corridoio che, in un sistema di difese progressive, costituiva anch’ esso un passaggio obbligato per i nemici, esposti al fuoco dei difensori dalle circostanti mura, che qui conservano sia il cammino di ronda che le merlature. Al disopra si erge l’ essenziale mole quadrata del mastio, che era facilmente isolabile e quindi atto ad una difesa ad oltranza.

Immediatamente alla sua destra si trova la chiesa di San Nicola, con la piazza antistante, dove la popolazione di Trocchio procedeva all’elezione dei propri sindaci, e, adiacenti, gli edifici della Curia. Le abitazioni si dispongono sulla parte bassa, su ripidi terrazzarnenti, adattandosi alla situazione morfologica del terreno. Tutta l’antica zona castellana è rimasta sostanzialmente immutata nella sua complessiva orditura topografica e spande ancora la magia del passato, della storia lontana: non è pensabile che un patrimonio di così grande importanza possa rischiare di scomparire, avariato dal tempo e dalle intemperie. Esiste un progetto dell’ Amministrazione per la creazione di un importante itinerario culturale ed archeologico, fino ad ora precluso a più larghe fasce di utenti, che prevede l’ individuazione ed il recupero degli antichi percorsi e sentieri, dando così l’occasione a cittadini residenti e turisti di apprezzare anche le bellezze naturali del luogo, di “scoprire” l’inaspettata presenza dei misteriosi conchiglioni fossili, che decorano, come sculture a sbalzo, la cresta rocciosa centrale. Di non secondaria importanza, per un paese che possiede un discreto patrimonio boschivo, che purtroppo negli ultimi anni ha subito incendi devastanti, è l’opportunità, contemplata nello stesso progetto, di sistemare l’area boschiva del Monte Trocchio (di notevole interesse floro – faunistico) attrezzando un parco che ben si presta ad un uso più qualificato delle risorse naturali. E’ noto che il clima delle parti più basse di Cassino e di Cervaro non è dei più salubri, per la presenza di forte umidità e per la scarsa ventilazione, per cui nei periodi estivi diventa di notevole sollievo la ricerca di un clima più secco ed ossigenato.

La fascia medio-collinare del Monte Trocchio possiede i requisiti privilegiati per la realizzazione di un parco, fruibile ad uso turistico e ricreativo, in una zona scarsamente dotata di tali servizi, anche se ricca di risorse naturali. E’ però, di particolare importanza, un’accorta opera di rimboschimento, che restituisca la vegetazione all’aspetto originario, con l’impiego – già auspicato da Giovanni Francesco Capaldi in un suo interessante articolo apparso sul numero 3 del periodico “La nostra voce” dell’ Associazione Foresta Club – “di specie già naturalmente presenti di maggiore sviluppo, come ad esempio il leccio, la roverella, l’orniello, il carpino nero, la carpinella e l’acero minore, piantati in forma mista”. Tale intervento assumerebbe “il valore di un vero e proprio ripristino ambientale, assecondando la tendenza naturale” della flora, oltre a rappresentare la valida opportunità di specializzare nelle opere di forestazione (e successivamente nelle opere di conservazione, manutenzione e miglioramento del patrimonio boschivo e del parco), i giovani locali chiamati a realizzare questo progetto, davvero significativo. I ruderi della chiesa di Santa Maria di Trocchio, si elevano patetici e solitari, a ridosso del monte omonimo, a breve distanza dal serbatoio dell’acquedotto campano. L’edificio si lascia ancora individuare nella sua pianta originaria, ma nulla è più visibile, se non i muri nudi, privi di qualsiasi pezzo architettonico di decorazione

A giudicare da queste misere – tuttavia pittoresche – rovine, è difficile pensare all’antica chiesa matrice di Torrocolo, da cui, già nel XIII secolo, dipendevano le chiese di S. Nicola, di S.Lucia, di S. Martino, di S. Cecilia e di S.Croce. Eppure, ancora nei primi decenni del secolo scorso, il Bertaux e Van Marle ci parlano delle pregevoli figure e splendide illustrazioni che ornavano questa chiesa, indicate come significativi esempi di una pittura di origine prettamente monastica, perché rivelava una maniera nuova di dipingere, forse preparata e svolta largamente proprio nei monasteri benedettini. Di questo importante ciclo pittorico, riferibile all’XI secolo, è rimasto parzialmente visibile solo l’affresco dell’abside, raffigurante l’Ascensione, che, negli anni cinquanta, il Pantoni provvide a far trasportare a Montecassino, dove si può tuttora ammirare in un’abside sulla sinistra della Loggia del Paradiso. Lo stesso studioso pensa che si tratti di un lavoro eseguito sotto l’Abate Desiderio (1057-1087) da un Magister cassinese, che rivela uno stile simile a quello degli affreschi absidali di Sant’ Angelo in Formis. Questa antica chiesa, condannata ad un progressivo, inarrestabile deterioramento, rischiava di scomparire per sempre dalla cultura e dalla memoria cervarese: potrà, per fortuna, essere salvata dall’ abbandono con interventi di conservazione ed uso turistico, che prevedono, tra l’altro, di installare nell’ abside dei pannelli con copie degli affreschi dell’ Ascensione. Guardando verso la sommità del monte Trocchio, dalla zona di Santa Lucia, siano immediata- mente colpiti dall’impressionante squarcio orizzontale, che si apre proprio sotto il brullo e rugoso costone centrale: “la Grotta”. Questo colossale antro, forse già abitato nell’ età del ferro, come farebbero supporre i frammenti di materiale fittile, rinvenuti nei pressi, e che ancora nell’ultimo conflitto mondiale, offrì rifugio e protezione alle comunità locali, si proietta nell’immaginario popolare con sequenze fiabesche, leggendarie. Secondo una vetustissima tradizione, conservata nella memoria storica cervarese, il luogo e l’intero sito del Monte Trocchio sarebbero appartenuti a San Benedetto, che in questa zona, dopo il suo trasferimento da Subiaco, avrebbe fondato la prima comunità monastica cassinese. E, proprio qui, sarebbe avvenuto un emblematico episodio della guerra aperta combattuta tra il Santo ed il demonio: “l’antico avversario”, come lo chiama San Gregorio. Racconta il biografo, che “il Santo con il suo trasferimento cambiò residenza, non già il nemico. Infatti le lotte che ebbe a sostenere furono tanto più aspre quanto piùaperta fu l’ostilità contro di lui dello stesso maestro di ogni malizia” (Dialoghi II, 8). Dicevamo, poc’anzi, della memoria popolare che colloca la prima comunità monastica ‘cassinese su Monte Trocchio, da dove – sempre seguendo il filo narrativo della tradizione – San Benedetto ammirava l’antica acropoli di Montecassino, anelando di insediarvisi. L’Arce era però occupata dal Demonio, che, conoscendo l’aspirazione del Patriarca, si recò presso di lui, tentandolo con la proposta di uno scambio delle rispettive dimore. Ma San Benedetto, chiedendo al Maligno di fargli conoscere la vastità dei propri domini, lo indusse ad indicare i quattro punti cardinali e quindi a fare, in questo modo, il segno di croce.Cosa che fece istantaneamente precipitare il Diavolo in un orrido profondissimo, ora celato sotto la chiesa di S.Nicola. Ancora “la Grotta” ed il castello di Trocchio sono i leggendari contenitori dell’ epopea brigantesca nelle nostre zone, avendo costituito i rifugi inattaccabili di un’eterogenea risma di masnadieri, che ivi avrebbero nascosto grandi tesori, che non sono mai stati trovati, perché custoditi in cavità impenetrabi- li. Nell’immaginario dei più anziani abitanti del luogo, Trocchio è favoleggiato come “la montagna più ricca del mondo”, una sorta di eldorado a portata di mano che, a volte, si “rivela” nelle ammalianti suggestioni di sogni ricorrenti. Tanto da indurre a febbrili esplorazioni tra gli innumerevoli recessi di questo singolare sito. E’ voce popolare che qualcuno… chissà. E’ uno dei tanti misteri di questo monte tutto di roccia, in cui, come abbiamo raccontato, è oggi possibile compiere un itinerario affascinante, ripercorrendo luoghi, usciti da secoli lontani per testimoniare e trasmettere, tra storia e leggenda, le loro memorie, sopravvissute al tempo.

Da “Cervaro-Itinerari e percorsi della memoria” di Attilio Coletta, ed. Comune di Cervaro 2000

(Ultimo aggiornamento: 8 Luglio 2021)

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