Sentieri Natura nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio Molise

Sentieri Natura nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio Molise. Lasciato il paese di San Donato Val di Comino (Fr) dal parcheggio sottostante i ponti ottocenteschi sull’antico greto del torrente di Forca d’Acero, ci si dirige verso occidente percorrendo la via Antica, storica strada di collegamento fra Alvito e San Donato. Neppure in concomitanza di eccezionali eventi piovosi i ponti svolgono la loro effettiva funzione, essi sono solo un ricordo del passato. “Il solo torrente a cui si vuol porre attenzione è quello che calando dall’alto degli Appennini, passa per la Comune di San Donato. Questo, oltre all’aver ingombrato molte terre, ha spesso rovinato qualche edifizio, colla morte talvolta degli abitanti medesimi, tali danni continueranno finché le acque non si avranno aperto un alveo di comunicazione colla Melfa” tratto da “La Statistica del Regno di Napoli del 1811”.

Il percorso costeggiato da muri di contenimento in pietra con filari di querce si dirige, fra bellissimi casolari abbandonati, verso la piana fino a raggiungere i fontanili di San Fedele e La Fonte. Tutte le sorgenti toccate da questo itinerario ciclabile si hanno al contatto stratigrafico tra materiali a differente permeabilità. Queste sorgenti sgorgano al contatto tra le ghiaie alluvionali del fondovalle, molto permeabili e le argille mioceniche delle colline, a più bassa permeabilità. I valori della portate sono molto esigui e risentono delle variazioni stagionali. La falda che le alimenta è molto superficiale e come tale, purtroppo, risente notevolmente del carico inquinante dovuto sia allo smaltimento dei reflui fognari non depurati sia per l’uso di fertilizzanti e diserbanti in agricoltura. A differenza del passato raramente le acque sono di buona qualità. Quasi adiacente al fontanile di San Fedele, con le sue mura poligonali si ha quello denominato La Fonte, quest’ultimo collocato all’ombra di maestosi alberi di platano. La strada asfaltata prosegue verso Cappella Lucida per proseguire in direzione di Castagneto. Dalla strada di crinale sulla collina argillosa la sorgente “La Fermentina” si rinviene al di sotto di una splendida quercia. “Ritrovasi in questo castagneto” – scriveva l’umanista G.P.M. Castrucci nel 1632 -“in una valletta a ponente un bollore d’acqua color cinerino e d’odor di bitume, che qualche volta nelle mutazioni dei tempi si fa sentire da lontano s’alza da terra or otto palmi or meno con lento mormorio, or debile or forte; e nell’istessa bocca o caverna onde s’alza e si vede, si profonda e si cela…” Da analisi geochimiche effettuate dall’Università di Roma, questa sorgente gassosa è stata classificata come un’acqua solfato-carbonato-alcalino-terrosa con intense emissioni gassose di idrogeno solforato ed anidride carbonica. Questi due componenti definiscono sia l’odore acre sia il ribollire delle acque. La presenza di gas nobili (ad esempio l’elio) poiché di provenienza dalla crosta profonda, testimoniano una contaminazione delle acque superficiali con gas che risalgono lungo fratture tettoniche. Riprendendo la strada comunale per Gallinaro, in località Santo Ianni si ha la sorgente omonima. Si tratta di una polla con acque con chimismo bicarbonato-alcalino-terroso ricche di anidride carbonica. Anche per questa sorgente gli apporti di gas profondi confermano la presenza di lineamenti tettonici attivi. Tali dati sono relazionati all’elevata sismicità dell’area.

IL VALLONE DI FORCA D’ACERO E LE MINIERE BORBONICHE (difficoltà bassa, dislivello 300 m) Lasciata la Piazza Largo Lago, si percorre verso Nord la storica mulattiera utilizzata fino a pochi anni fa dai nostri nonni per raggiungere, attraverso il Valico di Forca d’Acero, l’alta Valle del Sangro. Il percorso si snoda lungo il versante sinistro del Vallone di Forca d’Acero attraverso un sentiero, facilmente percorribile, che sale verso il valico, attraversando gli ultimi appezzamenti terrazzati, coltivati ad uliveti. Continuando a salire in quota la vegetazione cambia; dagli appezzamenti con gli ulivi si passa ad un bosco misto con querce e carpini. Per raggiungere le antiche miniere di limonite, usate in epoca borbonica, bisogna arrivare a circa 950 m di quota; lasciato il sentiero principale sterrato, si prosegue sulla destra seguendo un piccolo tratturo che si inerpica attraverso il bosco fino ad arrivare all’ingresso delle miniere. Nel 1774 sulle montagne della Val di Comino venne individuata “una speranza di mina di ferro”. Ai piedi del massiccio del Monte Meta vennero iniziati degli scavi, che portarono in breve al ritrovamento di materiale roccioso ricco di ossido di ferro. Nel 1852, Re Ferdinando II di Borbone dava impulso alle ricerche minerarie “prendendo in seria considerazione gli accresciuti bisogni di alcune materie prime e metalli nei suoi stabilimenti di artiglieria e volendo dar eccitamento in questo regno all’ industria mineraria”. Nella primavera del 1853 una commissione di tecnici (tra cui l’ingegnere studioso di mineralogia Gaetano Tenore), coadiuvata da un distaccamento di soldati zappatori, rinvenne nelle nostre montagne notevoli affioramenti di limonite (sesquiossido di ferro). “L’intera quantità del materiale estratto dalle due gallerie del Monte Cunnola (oggi Calvario)” – scriveva Gaetano Tenore – “sono al dì primo novembre 1855 vuolsi tenere del peso di Kilogrammi 1.073.322; per la considerazione ascende a metri cubici 317,76525…”. Una volta estratto, il materiale veniva portato a Capolavalle (Piazza Carlo Coletti) grazie a cestoni di salci trasportati da quadrupedi. In quest’operazione erano impiegate anche le donne, che portavano la limonite in testa o sulle spalle dentro cesti di vimini. Non appena giungeva in Piazza, la merce veniva pesata e pagata agli operai e in seguito si provvedeva a trasportarla alla “Ferriera” di Atina dove veniva lavorata. Il materiale venne estratto fino al 1860. Con l’arrivo dei piemontesi le miniere e la “Ferriera” vennero definitivamente abbandonate.

LA ROCCIA DEI TEDESCHI (difficoltà bassa, dislivello 160 m) Da Castelluccio, scendendo lungo il Vallone di Forca d’Acero, a circa un chilometro, si raggiungono i ruderi di antichi stazzi. Il sentiero prosegue risalendo il versante orografico destro del “canalone” dove la faggeta è associata ai pini. Anche ad una certa distanza la roccia è riconoscibile come uno spuntone imponente che si staglia sul fianco della montagna. La straordinaria posizione panoramica della rupe era strategica per l’avvistamento nelle diverse direzioni. Da qui la vista si apre sia sulla Val di Comino, fin verso le Gole del Melfa ed il Monte Cairo (antico fronte di Cassino), sia verso nord sulla strada di accesso all’Abruzzo. La roccia, era quindi una vantaggiosa postazione militare per l’esercito tedesco in ritirata, in previsione del cedimento del fronte di Cassino. I cunicoli scavati nella roccia e le torrette di avvistamento, erano stati realizzati dagli scalpellini sandonatesi rastrellati nelle piazze del paese, il loro lavoro barattato in cambio del rancio. Spesso le attività manuali rappresentavano “punizioni” che i tedeschi imponevano alla popolazione come deterrente all’attività “sovversiva”. Con lo sbarco di Anzio e la caduta del Fronte di Cassino gran parte delle forze alleate risalirono verso Roma, utilizzando la Via Casilina. Nella Val di Comino giunsero truppe neozelandesi; fortunatamente dopo circa 10 giorni i tedeschi si ritirarono verso nord, abbandonando in gran fretta anche suppellettili e munizioni. Entrare per la prima volta nei cunicoli, affacciarsi dalle torrette di avvistamento, anche a distanza di più di cinquanta anni, conserva un fascino misto ed una certa ansia, forse perché immediatamente riviviamo e riflettiamo su momenti drammatici della nostra storia. Ora nel centro della rupe, lungo una frattura (piano di faglia tettonico) forse in ricordo del passaggio di quei soldati, c’è un ciliegio. Ogni primavera fiorisce, incurante degli uomini e delle guerre.

LA GROTTA DEI LADRI (DENTARIA) (a piedi, difficoltà bassa, dislivello 200 m.) Da Castelluccio, si percorre la strada antica che porta a Pescasseroli. Il sentiero, agevole e di lieve pendenza, è chiamato “Dentaria” perché questo fiore è tra i più belli della zona, è raro ed è presente solo in questo habitat particolare (faggeta-bosco umido). Il percorso, diviso in venti soste didattiche, è stato studiato dagli alunni delle classi III C e III D della Scuola Media di San Donato Val di Comino nell’anno scolastico 1998/1999 su progetto coordinato dal prof Cesidio Cedrone in collaborazione con le prof.sse Filomena Carbone e Anna Zompa. Dopo aver oltrepassato il rifugio “Duca d’Aosta” e quello del Corpo Forestale, si possono notare i ruderi delle abitazioni dei pastori e gli stazzi: è la sosta della pastorizia. La terza tappa del sentiero prevede lo studio di una zona chiamata Scarpa del Monaco: questa località è così denominata in quanto non lontano dai resti della chiesa di San Cristoforo, in un tratto di pianura, si trova una strana pietra scavata nel mezzo che rappresenta l’orma di una scarpa di cui si notano molto bene il tacco e la punta. Quindi si entra nella faggeta: gli alberi hanno in media l’età di cinquanta anni, ma sono presenti anche splendidi faggi e qualche acero pluricentenari. Durante il percorso il cinguettio di numerosi uccelli accompagna il passo dei visitatori: è il canto della cinciarella, del picchio, della ghiandaia, del cuculo, del fringuello e della tortora. In questo bosco vivono inoltre molti animali: talpe, cervi, cinghiali, caprioli, scoiattoli, volpi, lepri, ricci, lupi e orsi. Proseguendo il sentiero si incontrano corsi d’acqua, doline, la Callarella della Neve fino a raggiungere una radura ricca di fiori: viola, non ti scordar di me, dentaria, anemone bianco, acetosella, ranuncolo, tasso barbasso, ortica bianca, buon Enrico, crocus, rosa canina e colombina. Si continua quindi verso la Grotta dei Ladri, luogo legato all’emozionante saga del bandito Cedrone. Dopo aver attraversato per dieci minuti il bosco fitto , ecco finalmente la Grotta: un angolo nascosto, suggestivo e spettacolare che crea fascino per la sua naturale bellezza e brivido per la memoria storica: un rifugio, casa e vita di banditi, braccatin dall’esercito piemontese perché nostalgici del Regno di Francesco II di Borbone. Qui il paesaggio offre uno spettacolo emozionante in ogni periodo dell’anno per la presenza di faggi secolari. La zona è molto conosciuta per le piste di Castelluccio-Campolungo e di Macchiarvana, dove si pratica lo sci da fondo. Ecco la sosta dell’ “uso civico della montagna” e delle carbonaie: è la storia dei sandonatesi di un tempo, la cui unica risorsa economica era il carbone e la raccolta della legna secca.

IL GHIACCIO DEL RE (difficoltà media, dislivello 500 m) Dalla località denominata Castelluccio il sentiero, agevole e con debole pendenza, si dirige verso nord, fino al pianoro di Macchia Prima intorno al quale si apre nella faggeta con splendidi esemplari secolari. Il sentiero ruota poi verso occidente, lungo un impluvio, fino a raggiungere il confine con il comune di Pescasseroli, confine regionale Lazio – Abruzzo. Elemento caratteristico di questo tratto è la callarella o Chiatra (inghiottitoio carsico), con profondità di circa 15 metri e larghezza 5. Nel fondo dell’inghiottitoio le nevi dell’inverno si conservano anche in pieno agosto, per questo motivo fino agli anni ’50 era in uso prelevare il ghiaccio per farne granite nel bar del paese. Il percorso prosegue per Campo Lungo dove sia hanno numerose doline. Nel passato era diffusa la raccolta della legna per produrre carbone. I carbonai costruivano pire che venivano lasciate bruciare per alcuni giorni, ricoperte di erba e terriccio. Dopo il raffreddamento il carbone, separato dalla terra, veniva caricato in sacchi di juta e venduto. Il sentiero sale in direzione delle vette di Serra Traversa (1865 m.). Al confine con il PNA si trova un altro inghiottitoio di grandi dimensioni, la Chiatra del Re. Il toponimo indica un pozzo carsico nel quale si conservavano neve e ghiacci prelevati, secondo la tradizione, per la corte dei Borboni. Il Sentiero ridiscende verso Costa Rosole fino a richiudersi ad anello a Castelluccio.

COLLE NERO E GLI JOLAPI (a piedi, difficoltà medio-alta, dislivello 630 m.) Da Castelluccio si percorre il sentiero in direzione nord-est; a quota 1450, oltrepassata la S.S. 509 per Pescasseroli, il sentiero prosegue, fra le rupiassolate, le graminacee ed i variopinti fiori fino a raggiungere la faggeta a quota 1550 m. circa. Il sentiero, a volte quasi pianeggiante più spesso ripido, al di sopra dei 1700 m. è completamente assolato. Si attraversa quindi il pozzo della Valle Inguagnera, utilizzato dai pastori per abbeverare, nel periodo estivo, il bestiame al pascolo in alta quota. Lungo il vallone, nelle rupi, si possono notare codirossi spazzacamino, codirossi, corvi imperiali, rondini rupestri e soprattutto il gufo reale. Si raggiunge il valico della Valle e nella punta più alta è possibile ammirare la Val Fondillo e restare completamente sorpresi dalla folta vegetazione e dai faggi secolari presenti nel versante abruzzese in contrasto con l’arido paesaggio del versante laziale. Si può ammirare Monte Amaro e, utilizzando il binocolo, con una buona dose di fortuna, è possibile sorprendere i camosci al pascolo; gli occhi corrono verso i monti e le vette meravigliose della Camosciara (riserva integrale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise). Sulla cresta della Valle Inguagnera si ruota verso destra, per raggiungere Colle Nero (1991 m.). Tra doline tappezzate, vistosi inghiottitoi e piccole grotte, la vista sulla Val di Comino a sud è notevolmente suggestiva. In questa zona vivono anche martore, donnole, gatti selvatici, l’orso morsicano e l’aquila reale. Il sentiero prosegue poi nella conca carsica di Fondillo di San Donato, aggira prima Monte San Marcello e poi Costa Matarazzo e raggiungere Valle Lattaia, dove in Maggio, negli antichi stazzi cresce il Buon Enrico, gli jolapi, spinaci selvatici con i quali in paese si preparano ottime paste e frittate. Infine, si scende per il sentiero, si rientra nel bosco di faggi fino a tornare a Castelluccio.

MONTE PANICO (difficoltà alta, dislivello 450 m) Da Castelluccio il sentiero si dirige verso nord – est. A quota 1458, oltrepassata la strada statale Sora-Pescasseroli, si prosegue fra le rupi assolate, fino a raggiungere la faggeta (1500 m). Il sentiero diviene sempre più ripido, salendo con diversi tornanti e completamente assolato sopra i 1700 metri. Raggiunta la vetta aspra del Panico la vista merita la fatica, lo sguardo domina sulla Valle del Sangro, sulla Val Fondillo fino al Marsicano e verso la Camosciara. Come tutti i sentieri di cresta del parco dal Panico la vista si apre su spazi sconfinati anche se l’insolazione è elevata ed il paesaggio arido. Si consiglia di ridiscendere sul percorso di andata, anche se il sentiero è abbastanza breve (6 Km) la difficoltà è legata al dislivello ed all’insolazione nei periodi più caldi dell’anno. Dalla vetta del Panico, il sentiero può proseguire verso oriente sullo spartiacque tra la Valle di Comino e la Valle del Sangro. E’ una delle traversate più belle del Parco, dominando con lo sguardo la Val Fondillo e la Camosciara. Il sentiero si snoda lungo pietraie assolate, rupi aspre ed affilate, praterie con graminacee silicee, dove nidificano le aquile ed i falchi, dove gli orsi vanno in letargo.

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